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Calcio

La bolgia del Meomartini, le sliding doors con Riva, la ‘corte’ dell’Avellino: Franco Bovio, il bomber Anni Sessanta del Benevento

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I miei gol più belli? Da fuori area, col sinistro, di potenza”. Anche il Benevento negli Anni Sessanta aveva il suo rombo di tuono. E dell’originale quasi andò a raccoglierne l’eredità, in quel di Cagliari: l’effetto “sliding doors” decise diversamente, facendo del Meomartini e non dell’Amsicora il teatro delle sue gesta. Qualche riga ancora e sarà tutto più chiaro. Ma come avrete già capito questa è una storia di calcio in bianco e nero. Tempi lontani in cui la maglia giallorossa si indossava pure gratis, solo per amore e appartenenza. Magari è proprio per questo che quelli che c’erano Franco Bovio non lo hanno più dimenticato e anzi ancora lo invocano, non appena la sfera supera di qualche metro la metà campo. Per tutti gli altri, per chi è arrivato dopo, sono le statistiche a presentarlo: quarto bomber di sempre della Strega, meglio di lui soltanto Clemente, D’Ottavio ed Evacuo. Che vuol dire anche un’altra cosa: nessun sannita ha segnato quanto lui con la casacca di casa. Roba di cui andare orgogliosi, soprattutto se i primi calci a un pallone li hai dati proprio a pochi passi da quello che poi diventerà il tuo stadio. “Ho imparato a giocare al calcio in piazza San Modesto, nel mio quartiere. Ricordo almeno tre campi di strada e partite che duravano ore e ore. Sono cresciuto così. E mica soltanto io: quel rione era una fucina di talenti, tanti si sono poi ritrovati a indossare la maglia del Benevento”.

E lei come si è ritrovato a vestire la casacca della Strega?

“Il Benevento era fallito, doveva ripartire dalla Prima Categoria che all’epoca era il campionato che veniva subito dopo la Serie D. Io ero con l’Atripalda e il Benevento – come la San Vito – l’avevo affrontato da avversario. Decisi di tornare nella mia Città per dare una mano, per risollevare le sorti della squadra. E così altri beneventani come me ‘dispersi’ in altre squadre. Eravamo in sette/otto, demmo la disponibilità a giocare gratis, almeno per un po’ di tempo. D’altronde io non potevo ricevere compensi perché impiegato al Comune come Vigile Urbano: per giocare chiedevo il permesso. La stagione del debutto è la 1965/66, avevo 25 anni”.

“Risollevare le sorti della squadra”: ci siete riusciti?

“Sì, anche se decisiva fu la fusione con un’altra squadra, la Sannita e il protagonismo del cavaliere Abete che volle e ottenne il ripescaggio in Serie D. Tornati in quarta serie facemmo tre bei campionati, l’aria era diversa. E come squadra eravamo forti: oltre me c’erano Chiumiento, Fracassi, Pellegrini. E Fedele, poi diventato direttore sportivo”.

E finalmente cominciarono a pagarla, immagino

“Ero diventato anche capitano. Abete mi elargiva un premio settimanale e a fine mese portavo a casa più come calciatore che come Vigile Urbano”.

Il rapporto tra la Città e quel Benevento?

“Un rapporto di passione. E di grande partecipazione. Ricordo una partita con il Sorrento dove c’erano 5500 persone. E al Meomartini si sentivano tanto: l’effetto era quello della bolgia. Nei derby era sempre così: con la Juve Stabia, la Turris, la Casertana”

Il primo ricordo che le viene in mente del ritorno in quarta serie?

“Una partita con l’Ischia, in casa loro. Ci tenevano tantissimo a vincere e per perdere tempo buttavano continuamente il pallone fuori, approfittando anche del fatto che l’impianto era piccolo e la sfera non si recuperava facilmente. Ma l’arbitro, un signore di Venezia, per ogni pallone finito fuori concedeva un minuto di recupero. E così finì che la pareggiammo, con un mio gol. Successe il finimondo e il portiere – Barilli, che conoscevo bene perché giocavamo assieme nella rappresentativa di quarta serie – aggredì con un pugno l’arbitro. “Ma sei pazzo? Mi hai appena detto che ti ha acquistato il Napoli! Così ti rovini” – gli dissi. “Ho perso la testa, speriamo bene” – mi rispose. Ma fu squalificato a vita”.

Un calcio diverso

“Assolutamente, ricordo che avevamo due o tre completini: una volta giocavamo in giallorosso e l’altra in rossonero. E poi i panni stesi da Allegretti proprio dietro al campo, dove c’erano gli spogliatoi”.

Quarantacinque gol col Benevento: quello più bello?

“Contro la Puteolana. Avevano un portiere fortissimo, se non sbaglio si chiamava Illiano: le prendeva tutte. Per segnare mi inventai un tiro a giro fortissimo, da destra verso sinistra. E a proposito di portieri grandiosi lasciatemi ricordare un gol nel sette a Ottavio Pietrantonio, ovviamente prima che venisse a giocare a Benevento, forse stava con l’Aversa: Ottavio, mio grande amico, era un altro che quando era in giornata non te ne faceva passare una”.

Un calciatore del suo Benevento che avrebbe potuto fare una carriera diversa?

“Dico Mario Allegretti: fortissimo. Aveva tutto per diventare un grande calciatore ma non la testa giusta. Venivamo sempre convocati nella rappresentativa di categoria e il giorno dopo, sui quotidiani, il titolo era sempre lo stesso: Allegretti e Bovio i migliori in campo. Ricordo che il selezionatore, un allenatore di Avellino, al termine mi chiese di andare con lui in estate a fare un provino con l’Inter. Lo chiese a me e a Boccolini. Non ci andai perché avevo vinto il concorso da Vigile e la mia carriera lavorativa era ormai avviata. Ma anche a lui consigliai di portare Allegretti”.

Mai ripensato a quel provino mancato?

“Mai, col calcio mi sono divertito e va bene così. E poi per me è un orgoglio essere ancora il sannita con più gol nel Benevento”.

Altre occasioni in cui la sua carriera poteva prendere una piega diversa?

“Quando giocavo ad Atripalda, prima categoria, il campionato lo vinse l’Avellino. Le due partite furono tiratissime, perdemmo ma giocai benissimo, segnando. Il presidente dei Lupi – che aveva un negozio a Benevento, in via Perasso – volle incontrarmi per acquistarmi. Andai seppur riluttante: le gambe sentivano ancora le botte prese in quei derby. “Offro 2,5 milioni all’Atripalda e 2,5 milioni a te, per un anno”. Una proposta decisamente importante e che accettai, tra l’altro ancora non avevo vinto il concorso. Ma dopo qualche giorno mi richiamò. “Franco, mi dispiace ma l’Atripalda vuole 5 milioni per il tuo cartellino ed è una cifra che non posso spendere”. Mi arrabbiai tanto con la società: “Così mi impedite di diventare un calciatore”. Ma non vollero sentire ragioni. Poi, però, mi cedettero per 3,7 milioni alla Puteolana. Fui io stavolta a rifiutare e loro ad andare in collera. Vennero anche a Benevento a parlare con mio padre: “Suo figlio è di nostra proprietà”. “Mio figlio è proprietà della madre” – gli rispose papà”.

E poi?

“E poi c’è stato il Cagliari”

Racconti

“C’era un procuratore di Napoli, Bolsacchi, che curava la rappresentativa di categoria e organizzava provini. Andammo a Caserta ma non per la Casertana bensì per il Cagliari, impegnato la domenica a Cosenza nel campionato di Serie B. Giocammo una partita di allenamento e segnai due gol. Con me c’era pure Comunardo Niccolai: “Questi ti prendono” – mi disse. Non diedi peso alle sue parole ma il quarto giorno che eravamo a Caserta l’allenatore del Cagliari mi chiama in disparte: “Senti, – mi dice – se sei una persona fortunata noi non andiamo in Serie A. A quel punto dovremmo cedere Riva e il primo acquisto in attacco sei tu. Se invece sei sfortunato andiamo in A e ci teniamo Riva”.

Cosa rispose?

“Che avrebbero vinto a Cosenza e ottenuto la promozione. E che sarei diventato il primo tifoso del Cagliari: mi abbracciò”.

Cinque anni con il Benevento: e poi?

“Poi decisi di dire basta: la quarta serie era troppo sacrificante. Decisi di scendere di categoria, andando a Montesarchio: tre allenamenti alla settimana, una situazione che si conciliava meglio con il lavoro. Anche qui mi sono tolto le mie soddisfazioni, segnando 27 gol nell’anno in cui vincemmo il campionato. Dopo tre anni, però, dissi stop. “Franco ha dato tutto” – risposi al presidente Izzo che voleva rivedermi a luglio”.

Però con il calcio il legame non si è mai interrotto

“Figuriamoci: con la rappresentativa dei Vigili Urbani ho giocato fino a 55 anni. A Firenze segnai un gol da centrocampo che vennero ad abbracciarmi anche gli avversari. E poi ho fatto l’allenatore, fino ad arrivare a curare il settore giovanile del Benevento, con Ciro Vigorito. Anni bellissimi, ogni lunedì e venerdì Ciro veniva a vedere gli allenamenti, sedendosi al mio fianco. Voleva sapere tutto: perché quello si allena così, quali caratteristiche può sviluppare quel ragazzo… ci teneva tantissimo”.

Stadio?

“Sempre abbonato da quando c’è Vigorito. Ha portato il Benevento a livelli che neanche sognavamo di poter raggiungere”.

Ultimamente, però, gli attaccanti giallorossi qualche problema con il gol lo hanno palesato…

“Ma non è colpa loro. E’ che ormai si gioca per entrare con la palla in porta. E non soltanto il Benevento: è il calcio moderno che è così. Pure in Serie A di gol da fuori area ne vedo davvero pochi. Non ci prova più nessuno”.

Servirebbe un Franco Bovio

“Sa quante volte me lo dicono sugli spalti? Appena uno arriva sui trenta metri: “Eh Frà, se ci stavi tu”. Ma pure per strada eh, mi fermano ancora mentre passeggio con mia moglie: “Signora, voi non avete idea di quanto ci ha fatto divertire suo marito”.

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