Calcio
Infiltrazioni camorristiche nella Juve Stabia, il procuratore federale Chinè chiederà gli atti. Il prefetto emette 11 provvedimenti interdittivi antimafia

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È stato eseguito ieri il decreto di amministrazione giudiziaria nei confronti della società sportiva Juve Stabia Srl. Il provvedimento, emesso il 13 ottobre dal Tribunale di Napoli su proposta congiunta del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, del Procuratore della Repubblica di Napoli e del Questore, è stato notificato dagli agenti della Questura di Napoli e del Servizio centrale anticrimine. La misura nasce da un’indagine che ha accertato un sistema di condizionamento mafioso dell’attività economica della società calcistica da parte del clan D’Alessandro, egemone a Castellammare di Stabia. Le indagini, condotte anche grazie ai contributi di collaboratori di giustizia e a registrazioni di colloqui in carcere tra detenuti al 41 bis, hanno rivelato come vari servizi collegati alle partite – dalla sicurezza al ticketing, dal catering alle pulizie, fino al trasporto della squadra – siano stati affidati a imprese legate al clan.
L’attuale proprietà della Juve Stabia, subentrata in relazioni economiche già compromesse, non ha predisposto adeguati strumenti di controllo e prevenzione. Particolari criticità sono emerse nel settore della sicurezza e della gestione degli steward, dove l’assenza di verifiche ha avuto ripercussioni anche sull’ordine pubblico. Durante la partita Juve Stabia-Bari del 9 febbraio, infatti, la polizia accertò la presenza ai tornelli di un tifoso colpito da Daspo, impegnato nel filtraggio accanto agli steward. Anche il servizio di biglietteria è risultato contaminato: in alcuni punti vendita venivano emessi biglietti con dati anagrafici falsi per consentire l’ingresso a persone pregiudicate e colpite da divieto di accesso.
Le indagini hanno inoltre evidenziato un’infiltrazione diffusa del clan D’Alessandro nella tifoseria organizzata. Numerosi provvedimenti di Daspo hanno colpito ultras legati alla criminalità locale. La presenza mafiosa nel tifo si è manifestata anche durante la festa pubblica del 29 maggio scorso, organizzata dal Comune di Castellammare per celebrare la stagione sportiva della squadra: sul palco, accanto a dirigenti della società e autorità cittadine, salirono tre noti esponenti del clan, Michele Lucarelli, Giovanni Imparato e Raffaele Di Somma. L’episodio, diventato un caso politico, scatenò polemiche tra l’europarlamentare Pd Sandro Ruotolo e il sindaco Luigi Vicinanza. Ruotolo denunciò la presenza di camorristi sul palco, mentre Vicinanza replicò respingendo le accuse. La tensione fu alta, ma i rapporti politici tra i due restarono poi cordiali.
Nel decreto del Tribunale di Napoli si legge che dirigenti societari e amministratori comunali avrebbero “tollerato, se non addirittura condiviso” l’iniziativa premiale promossa da capi tifoseria camorristi. Il giornalista Tiziano Valle, presentatore dell’evento, ha dichiarato agli investigatori di essere stato sollecitato dal portavoce del sindaco, Gennaro Carotenuto, a inserire nella scaletta l’intervento dei tifosi, su richiesta di un esponente della società. Ruotolo, commentando oggi la decisione del Tribunale, ha definito la misura un fatto grave, rivendicando la costante azione di denuncia svolta insieme all’Osservatorio stabiese contro la camorra.
Il decreto sottolinea anche il condizionamento mafioso nelle scelte relative al settore giovanile, con un responsabile già destinatario di provvedimenti della giustizia sportiva. La misura dell’amministrazione giudiziaria non è di tipo ablativo, ma mira a ripristinare la legalità nella gestione del club, interrompendo i rapporti di favore con la criminalità e restituendo alla società autonomia e trasparenza. Durante la conferenza stampa, i procuratori Nicola Gratteri e Giovanni Melillo e il questore Michele Di Bari hanno spiegato che l’obiettivo è consentire alla società di “raddrizzare la rotta” senza incidere sulla serenità dei giocatori, ma impedendo che la Juve Stabia resti uno strumento del potere camorristico.
Contestualmente, il prefetto di Napoli Michele Di Bari ha emanato undici interdittive antimafia contro imprese che operavano nell’indotto della Juve Stabia, attive in servizi di portierato, sicurezza, stewarding, ticketing, catering, pulizie, sanità e trasporto della squadra. Tali imprese risultano permeabili alle infiltrazioni criminali, coinvolgendo l’intera filiera gestionale del club.
La società Juve Stabia, attraverso un comunicato ufficiale, ha preso le distanze dal sistema ipotizzato dall’Antimafia, dichiarandosi vittima e non complice delle infiltrazioni. Ha chiarito che i rilievi riguardano solo fornitori esterni e che i soci e il management non sono sospettati di contiguità mafiosa. Il club ha accolto positivamente la nomina degli amministratori giudiziari e ha assicurato collaborazione per “bonificare” i rapporti con eventuali soggetti sospetti, precisando che non esistono rischi di penalizzazioni sportive né di interruzioni delle attività.
Tra gli episodi più emblematici citati nel decreto vi è quello di Giovanni Imparato, esponente del clan colpito da Daspo, sorpreso ai tornelli dello stadio Romeo Menti durante una gara della Juve Stabia. La giudice Teresa Areniello lo ha indicato come prova evidente del potere di controllo mafioso sul club. Le dichiarazioni del pentito Pasquale Rapicano hanno inoltre confermato che capi ultras e gestori di servizi collegati alla società erano legati da parentele dirette con i vertici del clan D’Alessandro. Sono stati documentati anche casi di biglietti falsificati e di elargizione di omaggi a pregiudicati vicini alla criminalità locale.
Il decreto menziona infine la presenza, tra i collaboratori del presidente Andrea Langella, di un uomo di fiducia legato a un pregiudicato camorrista e definisce “incredibile” la situazione della sicurezza allo stadio, gestita da soggetti privi di licenza e di fatto controllata da esponenti criminali. Tra i casi più inquietanti emerge quello del figlio di un boss detenuto al 41 bis che, non trovando spazio in squadra, si sarebbe rivolto al padre per ottenere un intervento presso un dirigente della società. Anche questo episodio, risalente ad agosto, è stato inserito tra gli elementi che hanno portato al commissariamento della Juve Stabia.
La Procura Federale della FIGC, guidata da Giuseppe Chinè, ha già annunciato la richiesta degli atti all’autorità giudiziaria per valutare eventuali profili di competenza sportiva.