Opinioni
Che faccia, ministro!
Basta esserci, in questo tempo. Basta metterci la faccia, parafrasando Giorgia. Magari evitando domande, aggiungiamo noi. E allora vengono, questi ministri. Vengono e parlano. Ma non dicono. Tutt’al più inaugurano e tagliano nastri. Vengono, abbracciano sale gremite, salgono tronfi sui pulpiti che li attendono e parlano, parlano, parlano. Mentre i fatti restano lìAscolta la lettura dell'articolo
Non c’è che dire, cari lettori. Non si vedevano tanti ministri dalle nostre parti dai ruggenti anni ’80. Commuove l’attenzione di questa destra di governo per le nostre aree interne, commuove il moltiplicarsi di iniziative che il gruppo dirigente regionale di Fratelli d’Italia, con il protagonismo dei suoi massimi riferimenti istituzionali, sta mettendo in campo per testimoniare vicinanza ai nostri territori.
Commuove – intendiamoci – la buona fede. E commuove la distanza siderale tra la narrazione proposta e i fatti, commuove il coraggio di una rappresentazione della realtà che sfida l’intelligenza dei cittadini, commuove il tentativo di colmare il vuoto con la fisicità della presenza.
D’altro canto questo è il tempo dei pensieri deboli, il tempo in cui le parole perdono di senso, un tempo nel quale la complessità non appartiene alla dimensione della concretezza possibile, un tempo che non dà tempo. Basta esserci, in questo tempo. Basta metterci la faccia, parafrasando Giorgia. Magari evitando domande, aggiungiamo noi.
E allora vengono, questi ministri. Vengono e parlano. Ma non dicono. Tutt’al più inaugurano e tagliano nastri, probabilmente inconsapevoli delle conseguenze devastanti delle scelte compiute in questi dodici mesi sulla pelle di questi territori, delle pretestuose domande che nessuno potrà mai porre loro. Vengono, abbracciano sale gremite, salgono tronfi sui pulpiti che li attendono e parlano, parlano, parlano. Mentre i fatti restano lì.
Resta lì lo stralcio di tutti i principali progetti infrastrutturali previsti dal Pnrr all’ombra dell’appennino meridionale, resta lì l’ipotesi di garantirne la realizzazione, in un futuro indefinito, attraverso i Fondi di coesione e sviluppo, che per legge dovrebbero essere destinati per l’80 per cento al Sud per altri interventi.
Resta lì la demente decisione di trasformare tutto il Mezzogiorno in una zona economica speciale. Una scelta che tradisce un decennio di discussioni, tavoli e analisi, con la quale lo Stato italiano rinuncia di fatto ad una strategia di rilancio industriale per il Mezzogiorno e condanna, manco a dirlo, proprio i sistemi territoriali che erano stati individuati come Zes in ragioni di potenzialità determinate da favorevoli collocazioni geografiche, dalla disponibilità di spazi sufficienti ad accogliere infrastrutture e nuovi insediamenti. Territori cerniera, a cavallo tra i mari, votati alla retro-portualità.
Resta lì la determinazione a proseguire sull’autonomia differenziata che di fatto si risolve in una secessione di fatto, secondo i desiderata leghisti, per ottenere in cambio un Presidenzialismo che finirà di smontare l’impianto costituzionale, che indebolirà ulteriormente una rappresentanza parlamentare già mutilata, riducendo ulteriormente, in ossequio al dogma maggioritario, lo spazio per le istanze dei territori meno pesanti sul piano elettorale.
Resta lì il fallimento totale delle politiche di contenimento dei flussi migratori, resta lì la geniale strategia appena varata per correre ai ripari attraverso la realizzazione di tante piccole Guantanamo in giro per l’Italia, tanti centri di detenzione per migranti, da collocare ovviamente a debita distanza dai grandi centri urbani, nei territori a bassa densità di popolazione, dove gli elettori si contano nell’ordine di poche migliaia. Resta lì la guerra dichiarata sottovoce ai SAI per arginare la sostituzione etnica, a dispetto delle ricadute straordinarie che quei percorsi di integrazione hanno avuto sulla vita dei nostri borghi, sulle economie delle aree marginali del Paese e del nostro Sud in particolare.
Resta lì la cancellazione del reddito di cittadinanza, restano lì centinaia di migliaia di famiglie abbandonate nell’indigenza, restano lì decine di migliaia di giovani senza alternativa, restano lì gli oltre 3milioni di lavoratori poveri a cui non può essere concesso il lusso di un salario minimo, restano lì le misure approvate per incentivare ulteriormente la precarietà del lavoro.
Restano lì le centinaia di istituti scolastici accorpati o chiusi, nel nome dell’algebra e della sostenibilità finanziaria, resta lì il futuro tradito di decina di migliaia di ragazzi condannati, tra monti e colline, ad una quotidianità pendolare ed insostenibile. Decine di migliaia di ragazzi a cui viene di fatto negato il diritto allo studio, il diritto ad una cittadinanza compiuta.
Restano lì le macerie di un sistema sanitario nazionale al collasso da Aosta a Siracusa, resta lì il fatto che nemmeno un euro sia stato impegnato a sostegno della sanità pubblica nonostante le ricadute devastanti della spinta inflattiva, mentre il criterio della spesa storica continua a penalizzare le regioni meridionali e in queste regioni, ovviamente, le aree più marginali e remote, già massacrate dalla lunga stagione dei commissariamenti che ha prodotto solo tagli, chiusure e desertificazione. Ma prima o poi arriveranno i soldi per le case di comunità che andavano realizzate con il Pnrr.
Restano lì dodici mesi di promesse tradite, di spregiudicato darwinismo in ossequio alla legge del più forte. Restano lì i fatti, soffocati nelle domande che non possiamo porre, a debita distanza da quei pulpiti. E da quelle facce.