Basket
La storia di coach Tipaldi, volto e cuore della Meomartini: ‘Il segreto? Passione e fiducia nei ragazzi…sul campo di basket e nella vita’
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L’anno è il 1991. L’Iraq di Saddam Hussein invade il Kuwait: è l’inizio della Guerra del Golfo. Alla radio passano album destinati a rimanere nella storia della musica: da ‘Ten’ dei Pearl Jam a ‘Nevermind’ dei Nirvana e ‘Out of Time’ dei REM con l’intramontabile ‘Losing my religion’. A Chicago un ragazzo newyorkese guida i suoi Bulls alla prima storica vittoria dell’Anello NBA: è Michael Jordan, destinato a diventare il ‘dio del basket’ sceso sulla Terra. E anche l’idolo di milioni di ragazzini, dagli Anni Novanta ad oggi, che ne seguiranno le gesta sul campo e nell’outfit quotidiano, dove la sua linea di scarpe è ancora oggi un brand ‘monstre’ che fattura miliardi di dollari all’anno. A quasi 8mila km di distanza dall’Illinois, su un campetto parrocchiale del Viale Mellusi, un 17enne sognava le ‘bombe’ di MJ. Non era assolutamente un fenomeno, ma dal numero 23 avrebbe acquisito due cose più importanti del talento: il carisma e l’essere uomo spogliatoio. Qualità che lo hanno fatto esordire giovanissimo come coach e che fanno ancora oggi di Massimiliano Tipaldi una bandiera della storica Meomartini, gruppo sportivo fondato nella stagione 1960/1961, nato nell’ambito dell’attività pastorale della Parrocchia Sacro Cuore. Tipaldi, 50 anni, è il volto e il cuore di una società cittadina che conta oltre 200 ragazzini del minibasket. Se passate alla Tendostruttura ‘Travaglione’ di via Galganetti lo troverete tutti i giorni, dalle 15 alle 22, a fare ciò che più ama: insegnare la pallacanestro e divertirsi.
Coach, a proposito, ha visto le Olimpiadi?
Che spettacolo il ‘Dream Team’ USA! Sono sempre stato convinto che il basket sia uno sport per persone intelligenti, dove sono fondamentali la forza e la coesione del gruppo. Vedere leggende come Kevin Durant e LeBron James fare da ‘gregari’ a Stephen Curry, cecchino infallibile da tre, la dice lunga su quanto siano fondamentali la piena fiducia nel compagno di squadra e l’unione del quintetto.
Concetti che insegna da oltre 30 anni alla Meomartini…
Una società che considero famiglia. E poi lo faccio con passione e amore nei confronti di uno sport che mi ha regalato tanto.
Perché proprio il basket e non un altro sport?
Sono nato e cresciuto a dieci metri dal campo della Meomartini. Da ragazzino, con gli amici, ci divertivamo a giocare a pallacanestro nelle vicinanze di casa. MJ il mio idolo, ma non sono mai stato un grande giocatore. Finita la trafila giovanile, coltivavo il sogno di rimanere nel settore come allenatore. Iniziai a frequentare i corsi di formazione e a 18 anni ho preso il mio primo patentino da coach. Ricordo la mia prima esperienza con Nicola Matarazzo come suo vice alla Meomartini e successivamente in A2 femminile, sempre a Benevento, con la NGSA del compianto avvocato Andrea De Longis, che ebbe grandissima fiducia in me: vorrei ricordarlo perché è stata una persona che ha dato tantissimo al Basket beneventano. Iniziai come assistant coach e poi divenni allenatore di quella squadra a stagione in corso, conquistando una grande salvezza. Successivamente ho seguito il settore giovanile del G.S.Meomartini, prima di approdare al minibasket.
E poi?
Una parentesi di quattro anni a San Giorgio del Sannio con il ‘Sant’Agnese’, a fine Anni Novanta, con la prima squadra che vinse due campionati arrivando addirittura in C1. Un risultato straordinario per una piccola realtà di provincia. Belle soddisfazioni personali, ma ad ogni modo decisi di ritornare a casa mia: alla Meomartini. Che mi accolse a braccia aperte.
Da quel momento ne è diventato un punto di riferimento…
E’ diventata la mia vita. Sono oltre 18 anni che alleno la squadra senior con buoni risultati: abbiamo sfiorato la C1 contro Battipaglia, abbiamo formato ottimi giocatori, attuando una politica intelligente di inserimento dei nostri giovani all’interno della prima squadra. Non abbiamo mai avuto la volontà e la possibilità di prendere giocatori da fuori: l’ossatura del nostro roster proviene sempre dai ragazzi delle giovanili. Del resto oggi, se a 18/19 anni non sei un giocatore fortissimo, da noi puoi continuare a divertirti e fare esperienza con la seniores…
Cosa ama di questo percorso da allenatore?
Al di là dei risultati, che sono comunque importanti, quello che amo di questo lavoro è crescere con i ragazzi e formarli. Vederli migliorare e migliorare me stesso con loro. Alcuni che ho allenato li incontro per strada: oggi sono uomini e professionisti in vari settori, ma si ricordano di quello che hanno imparato. Fuori e dentro al parquet.
Lei è amatissimo dalle famiglie e dai bambini: empatia innata o competenze che si acquisiscono con lo studio?
Stare con i ragazzini è un grande privilegio. Lo studio è fondamentale, ma una caratteristica che fa la differenza è la passione. Trascorro ogni giorno 7 ore sul campo da gioco. Mi diverto con loro, li sfido ai tiri da tre. Li consiglio sugli acquisti da fare. Credo che alla base di tutto serva una grande sensibilità. Se l’istruttore non sa comprenderli, immedesimarsi nei loro problemi, aiutarli a correggere i loro comportamenti sbagliati di tipo caratteriale e a diventare adulti nella pienezza del significato, creare e costruire lo spirito di squadra, gli effetti della sua capacità e competenza squisitamente tecnica saranno di scarso rilievo ed inadeguati al fine della formazione completa del giocatore di pallacanestro. In ogni caso torna sempre la stessa parola: la fiducia. Il segreto è dare loro fiducia: se scatta questo, saranno disposti a dare il massimo. In partita e nella vita.
E con le famiglie?
Da trent’anni lavoriamo in sinergia. Se è vero che ai genitori spetta il compito di dare l’educazione, a noi allenatori spetta quello di educarli cestisticamente, dando delle regole: come ad esempio la puntualità e il ‘si vince e si perde tutti insieme’. Instaurare nei giovani solidi principi morali e qualità come la lealtà, la correttezza, l’autocontrollo, il coraggio, il senso del dovere e del sacrificio, dell’ordine e della disciplina, il rispetto dell’autorità e dei regolamenti, l’amicizia, non potrà che avere ripercussioni positive anche sul loro rendimento sportivo.
Eppure si parla di crisi di valori, giovani disinteressati e social-dipendenti…
Con la Meomartini lavoriamo da sempre sulle qualità umane, creando anche attività collaterali per tenere i nostri ragazzi quanto più tempo sul campo e lontani dai telefonini. Un esempio: nel mese di luglio abbiamo dato loro la possibilità di venire gratuitamente a giocare ogni sera per due ore, divertendosi presso la nostra tendostruttura. Il risultato? Abbiamo registrato il pienone. E allora proviamo a trarre il massimo da quel poco che abbiamo. I ragazzi vanno educati all’aggregazione, alla socializzazione: durante gli allenamenti, i cellulari scompaiono.
La prima squadra gioca in D1, ma nei match casalinghi sembra di stare in un palazzetto di Serie A. Famiglie e bambini a fare un tifo incredibile. Qual è il segreto?
Tre anni fa, con il presidente Stefano Capitanio e il vice Fiorella Maria Berruti, decidemmo di far ripartire la prima squadra. Ci rendevamo conto che al ragazzino serviva un riferimento della prima squadra al quale ispirarsi per poter sognare la canotta della seniores. Questa magia nasce dal considerarci un’unica cosa, dal bambino di 5 anni al ragazzo della prima squadra: tutti insieme facciamo cene di Natale, feste di fine anno, partite genitori vs figli. Con l’obiettivo di essere sempre un punto di riferimento per la crescita umana dei nostri piccoli atleti. Tra i nostri segreti c’è soprattutto il divertimento: se viene a seguire una partita casalinga, assisterà all’estrazione dello zainetto della Meo o al premio speciale per il tiro da centrocampo. Come succede nell’NBA.
Qual è lo stato di salute dello sport sannita?
Siamo fortunati e dobbiamo dire grazie al presidente Vigorito che con il calcio ci ha fatto calcare dei palcoscenici impensabili come quello della serie A. Per quanto riguarda il basket, è un movimento vivo e dobbiamo essere fieri per i risultati conseguiti: la Miwa Energia in serie B, la Virtus Academy in serie A2, due società in C, noi in D. Bisogna lavorare tanto sui giovani, puntare sui ragazzi, valorizzarli e dargli una possibilità in prima squadra. Solo così potremmo creare anche movimento all’esterno, curiosità e interesse. Portando spettatori nei palazzetti e bambini ai corsi.
Un’altra attività della quale va fiero è l’iniziativa ‘Un assist per la Colonia’…
La manifestazione è nata grazie alla volontà della cooperativa sociale ‘Bartololongo’. Con gli istruttori e amici Antonino di Pasquale e Monica Di Rienzo volevamo creare un ‘Camp’, una iniziativa aggregante anche nel periodo estivo, quando di solito finiscono allenamenti e campionati. Negli anni si è creata una sinergia incredibile e siamo arrivati a gestire oltre 150 ragazzi. Dietro c’è un lavoro enorme, ma la soddisfazione è vedere la Colonia Elioterapica – è la storica casa del basket a Benevento – strapiena di ragazzi che amano la pallacanestro. Nel futuro diventerà una scuola di formazione estiva con allenatori qualificati e ospiti di prestigio. Alcuni già ci hanno fatto visita: penso a coach Antonio Bocchino e all’ex NBA Linton Johnson.
Nel futuro di coach Tipaldi cosa c’è?
L’obiettivo è creare una squadra senior femminile e, nel giro di qualche anno, approdare al campionato di serie C. Ovviamente continueremo a credere nei giovani, dando un’opportunità a tanti che magari non sono fortissimi ma che vogliono continuare a giocare e a divertirsi. Per altri, che magari hanno talento e capacità, l’obiettivo è farli crescere, dando loro le ali per spiccare il volo e per esprimersi ad alti livelli. E sono convinto che porteranno nel cuore e nelle gambe quanto imparato alla Meomartini.