Calcio
Giannantonio, una voce per mille partite: “Per la Strega 4 volte in ospedale. Capuano? Pace fatta ma aspetto la pizza”
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Più di mille partite raccontate. Tra radio e tv. “Giornalista per caso”, Reno Giannantonio è diventato la voce del calcio beneventano. Lo ha fatto narrando per quarant’anni le gesta – non sempre epiche come per gli eroi di Omero – degli uomini in casacca giallorossa. C’era quando la Strega arrancava tra la C e la D, c’era quando si risaliva coi gol di D’Ottavio o con il piede sbagliato di Compagno. Gli è mancata giusto la possibilità di narrare l’ascesa nell’Olimpo del pallone. Ma non se ne fa un cruccio. Lo sport per Reno è passione, prima ancora che lustrini e paillettes. Merito degli insegnamenti del papà: “Portava ogni giorno il Corriere dello Sport a casa e ce lo faceva leggere a partire dall’ultima pagina, mai dalla prima. E infatti mi sono appassionato a tutte le discipline sportive. Uno dei primi eventi a cui ho assistito dal vivo è stato un incontro di lotta greco-romana”.
E quando questa passione è diventata giornalismo?
“Una scelta improvvisa. Torno dal viaggio di nozze, nel 1977 – erano i tempi delle radio private – e Maurizio Cavalluzzo, un mio amico nonché giocatore di pallacanestro e professore di educazione fisica, mi chiede di seguire lo sport per Benevento Antenna International. Serviva qualcuno da contrapporre a Gigi Cirocco, bravissimo cronista sportivo di Radio Benevento Libera, col quale poi sono diventato molto amico, lavorando anche assieme. Cosa faccio? Accetto o no? Il lavoro già ce l’ho, insegno scienze e matematica alle medie. “Prova, se va male torni a casa, ti fermi e finisce lì” – mi dice mia moglie. E io ho provato. Ma sono trascorsi quarant’anni prima di fermarmi”.
Tanti i giornalisti che nel Sannio hanno cominciato con la radio
“Moltissimi. Ma pochi gli sportivi. La radio la lascio a malincuore ma l’opportunità di passare alla Tv – con Canale 28 e sempre su suggerimento del mio amico Michele Cavalluzzo – mi affascina perché posso avvalermi dell’ausilio delle immagini. Iniziano giornate di lavoro intense, ore e ore di editing e montaggio, oltre che di dirette. Nel 1979 il grande evento, l’inaugurazione del Santa Colomba: tre ore di servizio tutte d’un fiato, senza mai fermarmi”
Il nuovo stadio come simbolo di una Città che voleva crescere, diventare grande
“Si, l’idea era quella. E infatti lo stadio era sovradimensionato rispetto alle esigenze del territorio, tanto che poi è stato riempito poche volte. Per realizzarlo fu sfruttata la possibilità di accedere a un finanziamento regionale. Sindaco di allora era Ernesto Mazzoni, pure presidente della società calcistica. Un signore, una persona colta, di spessore, garbata. Non andava mai sopra le righe, anche quando doveva replicare a domande velenose. Per me il rapporto con Mazzoni è stata una sorta di palestra, mi ha aiutato a crescere. Ci ha lasciato da poco, il suo ricordo mi accompagnerà sempre”.
La prima telecronaca del Benevento?
“Dovrebbe essere un Benevento-Chieti, serie C. Dal tetto del Meomartini. Poi ho superato quota mille, tra radio e tv. Ho raccontato anche la Juventus: una partita di Coppa Italia contro la Cavese, giocata al Santa Colomba. Fu un collega di TeleCavade’Tirreni a fare il mio nome alla società metelliana, raccontandomi come un giornalista oggettivo, capace di tenere a freno appartenenze e simpatie”.
E il Benevento? Dicci la partita che hai raccontato e che ricordi con meno piacere e quella che ricordi con più gioia
“Le tristi quelle in cui si retrocedeva. Le più belle quelle del campionato vinto con la famiglia Cotroneo, l’uscita dai dilettanti e il ritorno in Serie C2. E poi ovviamente quella di Lecce, la finale playoff con il Messina. Dopo il gol di Compagno ho temuto di morire”
E perché?
“Il collega giornalista de ‘Il Mattino’ Gianni De Blasio quasi mi uccideva per l’abbraccio della gioia. Più gli dicevo “soffoco” e più mi stringeva. L’esplosione di entusiasmo fu grandiosa”
E le situazioni più assurde?
“A Catania, al Cibali, ho fatto la telecronaca dal ventesimo piano perché non mi accettarono l’accredito. Vedevo soltanto metà stadio e quando l’azione si svolgeva nell’altra parte del campo inventavo tutto. E poi a Sorrento: fui costretto a portare 150 metri di filo per il telefono, la linea la prendemmo dalla casa di una signora che abitava di fronte allo stadio. Roba pazzesca”.
Si guarda sempre al passato con una vena di romanticismo, anche quando si parla di calcio: era davvero un altro mondo o la nostra è solo nostalgia?
“Era decisamente un calcio molto più romantico. Quello di adesso è irritante, tanto business e poco cuore. Da parte nostra, nonostante le molte difficoltà di una tv locale, facevamo l’impossibile per offrire un servizio di qualità. E ci riuscivamo proprio perché spinti dalla molla della passione”.
Un dato che gli appassionati vi riconoscevano, d’altronde eravate gli unici a dare notizie e informazioni sulla squadra del cuore. Oggi è tutto più semplice, diretto, accessibile
“Quello che dici è vero. Ma devo pure dire che per quella che era la mia impostazione mentale – il mio modo di intendere il giornalismo – il mio rapporto con la fetta più calda della tifoseria giallorossa non è mai stato idilliaco. Ricordo giusto qualche eccezione, come Enzo De Lauro, un capo-ultrà che ora vive a Cervia e con cui sono ancora in contatto. Era un passionale ma sapeva confrontarsi, conosceva i limiti, rispettava le diverse posizioni. In tanti altri casi, però, la mia oggettività e la loro faziosità – naturale per un ultras – erano motivo di qualche tensione. Se invece parliamo di informazione, è vero che ci veniva riconosciuto l’enorme impegno: chilometri e chilometri percorsi, trasferte pericolose, partite infinite. A Pagani fui preso a calci nel sedere, all’uscita della sala stampa; a Salerno fui scortato dalla camionetta della celere. Colpa di una trasmissione stupenda di Telecolore Salerno: si chiamava “Gol su gol” e faceva vedere le sintesi di tutte le partite di Serie C. Essendo il corrispondente da Benevento, venivo sempre riconosciuto”.
Detto della tifoseria, qualche tesserato o dirigente del Benevento di cui conservi un ricordo particolare?
“Ho sempre cercato di mantenere un certo distacco con i calciatori: dal mio punto di vista un giornalista non deve diventare amico di un giocatore, così come di un allenatore e di un presidente. Per diverse ragioni. Poi se parliamo di amarcord, detto già di Ernesto Mazzoni mi piace ricordare la famiglia Cotroneo ma lo stesso Spatola, presidente passionale e tifoso vero: faceva calcio senza soldi ma sarebbe stato promosso in B, senza le cose che sappiamo sono successe a Crotone. Come calciatori, invece, ho apprezzato particolarmente Zica e Mastroianni. Meno quelli che mi hanno mandato in ospedale”
E questo merita di essere raccontato
“Per quattro volte sono andato in ospedale in relazione a vicende del Benevento Calcio. Anche per aggressioni subite da calciatori scadenti – come nel caso di Sberveglieri che mi diede un pugno in volto – o da tifosi cortigiani, come nel 2014 al termine di Benevento-Cosenza. Quella l’ultima mia volta allo stadio: non si può andare quattro volte in ospedale perché si ha un’opinione diversa sul calcio. E di certo non potevo io rinunciare alla mia oggettività”
E pensare che oggi impazzano le telecronache dei giornalisti-faziosi
“E infatti non li ascolto, non li sopporto. Io mi sono formato diversamente, seguendo esempi come Nando Martellini. Le sue telecronache mi hanno aiutato a crescere. Così come decisivi, nel mio percorso, sono stati i tecnici, quelli che io chiamavo ‘mani calde’. Il primo Vittorio Susany, il secondo Marino Cataudo, l’ultimo lo sapete già: il grande e bravissimo Mauro Ielardi. Con Mauro ci capivamo guardandoci negli occhi, insieme – consentimi la presunzione – abbiamo fatto servizi da Serie A, pure se eravamo in C. D’altronde è tutto su youtube”.
E su youtube Mauro Ielardi ha caricato anche il famoso duello Giannantonio-Capuano: quel video ha fatto il giro del mondo
“Lo avranno visto milioni di persone, ancora oggi ricompare. Per quel video mi hanno chiamato dall’Azerbaijan, una cosa incredibile”.
E riparliamone
“Premetto che parliamo di un allenatore che, devo essere sincero, non mi dispiaceva. Lo ricordo come uno dei primi a giocare con la difesa a tre, cinque centrocampisti e due punte. Ma le sue dichiarazioni nella settimana precedente a quel Benevento-Sora davvero furono insostenibili. E non me le tenni, anche io ho un carattere fumantino. E ammetto di essere stato molto provocatorio nella domanda ma la sua risposta fu una vera aggressione, un turpiloquio”.
Poi, però, avete fatto pace?
“Ci rincontrammo in occasione di un Benevento-Catanzaro, gara di playoff. Venne a vedere la partita e tramite un amico comune ci chiarimmo, scusandoci reciprocamente. Io per la mia domanda e lui per quella assurda reazione. Restammo che dovevamo vederci per una pizza: la sto ancora aspettando”
Allo stadio non ci sei andato più dopo l’aggressione di Benevento-Cosenza: come hai seguito il Benevento in B e poi addirittura in A?
“Il cuore palpitava ma con distacco. Penso che nessun giornalista a Benevento abbia subito quello che ho subito io: aggressioni, vessazioni. In alcune circostanze sono stato oggetto di silenzi stampa personalizzati: non parlate con Reno Giannantonio, l’ordine di scuderia. E questo perché? Perché la società non condivideva le mia telecronache. Mi ricordo ancora di me in sala stampa con il microfono in mano ma nessuno che si faceva intervistare. Decisamente troppo”.
Per passare al presente, quanto ti ha sorpreso il ritorno in serie C del Benevento?
“Sono sincero: io non mi sono mai illuso. Ho sempre pensato che stavamo disputando campionati non adeguati al territorio e alle sue risorse economiche. La verità è che siamo andati al di là delle nostre possibilità. Vigorito – con tutti i difetti che pure conosciamo – ha dato alla città quello che la città non si sarebbe mai aspettata. E lo dico io che con il presidente non ho mai avuto buoni rapporti, ancora di meno dopo la mia aggressione”
In serie C, però, possiamo aspettarci di rivederti allo stadio?
“Oggi sono in Emilia Romagna, forse mi trasferirò a Bologna da mia figlia. Ma se sono a Benevento, una partita di sicuro la vengo a vedere: quella con il Taranto”
E poi la sera a mangiare la pizza con Capuano
“E certo. Chiariamo che tocca a lui offrirla: sbagliammo entrambi ma lui sbagliò di più”.