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Gli inizi alla Jolly Nuoto, l’oro Europeo, le tre Olimpiadi. Stefania Pirozzi e una carriera a cinque cerchi: “Londra l’edizione più bella, per l’esordio non chiusi occhio”

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La celebrazione quadriennale della primavera dell’umanità”. Così Pierre de Coubertin descriveva il senso delle Olimpiadi. Un grande sogno, il suo: far rivivere il mito degli antichi giochi di Olimpia. Qualcosa che andasse molto oltre lo sport e la mera competizione. Un momento di incontro tra culture, popoli, nazioni. Lo spiegano i cinque cerchi che si intrecciano sulla bandiera. Una magia che tocca a Parigi, cento anni dopo l’ultima volta, rinnovare. E così da quarantotto ore gli occhi del Mondo sono sulla Città di Eiffel. Città trasformata in un enorme Stadio per la cerimonia di inaugurazione. Musica, luci, la Senna, la Torre. E ovviamente loro, gli atleti. Da quattro anni attendono questo momento. E pensare che in tanti casi saranno pochi secondi a decidere tutto. “La notte prima del mio debutto non ho chiuso occhio”. Londra, Rio de Janeiro, Tokyo: tre edizioni, tre continenti. Nessuno, nel Sannio, conosce le emozioni, il fascino e l’adrenalina dei Giochi quanto Stefania Pirozzi. Un legame inscindibile quello tra il nuoto e le Olimpiadi. Soltanto nove gli sport ammessi alla prime edizione dell’epoca moderna, nel 1896, ovviamente ad Atene: il nuoto c’era. E tanto era forte questo connubio che fino al 1973 la Federazione Internazionale neanche organizzava i campionati mondiali: per un nuotatore esistevano solo le Olimpiadi. Che fatica, però, arrivarci. E la più olimpica degli sportivi beneventani lo sa bene. Tanto più che il suo viaggio è cominciato con uno spavento. “Il primo ricordo che mi lega al nuoto? Mare Adriatico, costiera triestina. In campeggio con la famiglia: stavo affogando in una piscinetta di 20 centimetri di profondità. Mio padre, allora, mi prese e mi gettò in una vasca da 50 centimetri. Tanto si sa: un bimbo non annega, nuota per inerzia”.

Poi però in piscina ci sei tornata

In verità come tante altre bambine della mia età avevo intrapreso la via della danza. Ma poi i medici consigliarono ai miei genitori di iscrivere mia sorella a nuoto, per un problema di schiena. Chiesero anche a me, dunque, se volevo provare. Ero un po’ scettica, ma la danza mi annoiava un po’ e decisi di tentare”.

E come andò?

Fu amore a prima vista. Ricordo che a sette anni, prima di uscire di casa per andare a scuola, facevo le respirazioni nella bacinella. E tre mesi dopo la prima prova ero già nella sezione agonismo”.

Si accorsero subito che avevi qualcosa di diverso rispetto agli altri bambini

Io ero piccola, ovviamente non ne avevo idea. Ma i miei istruttori evidentemente sì anche se me lo raccontarono dopo”.

Dove hai iniziato?

A Benevento, con la Jolly Nuoto Club, alla piscina di Capodimonte. Penso fosse l’unica all’epoca”.

Del nuoto si parla sempre come di una delle discipline sportive più sacrificanti, anche in età giovanile e in relazione ad altri sport

Io penso di non aver mai parlato di sacrificio. Ho sempre vissuto il nuoto come una grande passione. Piuttosto, mi piace evidenziare la fortuna di aver avuto dalla mia parte una famiglia che mi ha dato la possibilità di intraprendere questa strada e di dedicarmici con tutta me stessa. Quanto alla disciplina, la differenza sta nel fatto che il nuoto è uno sport individuale. In uno di squadra anche se non sei al meglio hai i compagni su cui poter fare affidamento. Nel nuoto, ovviamente, no: sei tu e basta. Perfino nelle staffette si gareggia per conto proprio, alla fine: perché punti sempre a migliorare il tuo tempo”.

Quando hai preso consapevolezza che il nuoto sarebbe diventato una parte essenziale del tuo percorso?

Il primo momento di svolta è stato quando mi sono ritrovata a dover andare via dalla Jolly Nuoto Club. Per tutta una serie di ragioni indotte sono andata ad allenarmi a Napoli. E a quel punto l’investimento per la mia famiglia è diventato più importante: in termini di soldi, tempo, sacrificio. Ma se devo dirti quando ho capito che il nuoto sarebbe diventato la mia professione – o comunque un qualcosa su cui dedicarmi seriamente – allora ti dico nel 2009, con le prime gare in nazionale agli Europei Junior”.

Trentacinque titoli assoluti, più volte sul podio agli Europei, i successi ai Giochi del Mediterraneo: il successo che ricordi con maggiore orgoglio?

Berlino 2014, sicuramente. L’oro ai campionati europei nella staffetta 4X200 Stile Libero. Una bella sfida, per me che ero abituata ai 400 Farfalla, dedicarmi al Libero per quell’appuntamento, con gli allenamenti iniziati soltanto pochi mesi prima. D’altronde il 2014 lo ricorderò sempre come un anno particolare: prima mi ha dato lo slancio, poi mi ha affossato con la mononucleosi”.

E qualche rimpianto, invece?

Ho sempre scelto di fare quello che mi sembrava giusto fare in quel preciso momento. E non ho mai avuto timore dei cambiamenti, tuffandomi sempre nelle situazioni che ritenevo più idonee a me. Quindi no: non rimpiango alcuna scelta fatta o non fatta. Pure quella di smettere. Rifarei tutto”.

Quindi mai pensato ‘ho smesso troppo presto’?

Tre olimpiadi, 15 anni di agonismo ad alto livello: penso siano sufficienti. E poi la scelta di smettere è sempre qualcosa di molto personale. Trent’anni penso sia stata l’età giusta per dire basta e dedicarsi a scoprire altro”.

Lo ricordavi prima: tre Olimpiadi. Nessuno come te nel Sannio. Quale l’edizione più bella?

Se devo scegliere, scelgo Londra 2012. La prima Olimpiade è stata indimenticabile. I Giochi sono il sogno di ogni atleta ma sono in pochi quelli che riescono a coronarlo. Ricordo ancora gli sforzi per raggiungerle, gli allenamenti per raggiungere il tempo qualificazione. E poi la notte prima della gara d’esordio: non chiusi occhio. E poi quella di Londra è stata un’edizione meravigliosa: tutto bellissimo, emozionante. E il villaggio olimpico, poi: secondo tanti il più bello della storia. Un’esperienza indimenticabile condivisa con i migliori atleti di tutti gli sport”.

Anche l’occasione per incontrare da vicino vere e proprie leggende

E infatti incontrai Usain Bolt. Ma anche Cavani. Che poi il Villaggio Olimpico è in realtà una Città a tutti gli effetti. Ricordo le distanze infinite per tornare all’alloggio, andare a mangiare, uscire per gli allenamenti e le gare”.

E comunque, per restare in tema ‘leggende’: quante atlete possono dire di aver gareggiato insieme a Federica Pellegrini

Sicuramente un’esperienza bellissima. E non soltanto gareggiare con lei: con Federica mi sono allenata insieme l’anno preolimpico, a Verona. Del suo talento è persino inutile parlarne tanto è stato evidente. Ma è come atleta che mi ha lasciato un’impressione incredibile. Le ho visto fare cose mai viste da nessun’altra. Davvero sembrava di allenarsi con un robot: mi ha insegnato tantissimo”.

Domanda superflua: ti alleni ancora?

Allenarmi magari no. Ma due o tre volte a settimana un’oretta di nuoto vado a farla. Per tenermi in forma, perché fa bene e poi sempre perché mi piace: non mi sono ritirata perché ne avevo nausea del nuoto ma per una scelta di vita. Compatibilmente con gli altri impegni lavorativi – ora sono una poliziotta a tempo pieno e poi organizzo eventi legati al nuoto, sempre qui a Trieste – allo sport non rinuncio”.

Chiudiamo con le Olimpiadi: Parigi è iniziata, qualche italiano su cui puntare?

Considerando tutte le discipline, il primo nome che ti faccio è Gianmarco Tamberi. Per il nuoto, vado sulle nostre quattro punte: Martinenghi e Ceccon tra gli uomini e Pilato e Quadarella per le donne”.

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