Calcio
La finale di Lecce, gli scudetti con la Juventus, l’esperienza in Cina. Armando Fucci, una vita dedicata al calcio: “Resto sempre un tifoso della Strega”
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Ci sarà un motivo se nelle nostre domeniche amarcord torniamo spesso lì, alla stagione calcistica 1998/99. Eppure sono trascorsi venticinque anni dal destro di Compagno, eppure il Benevento ha festeggiato promozioni decisamente più ‘pesanti’ di quella conquistata al ‘Via del Mare’. Ma se aprite l’armadio dei ricordi di un tifoso della Strega la videocassetta della Finale la troverete lì. Conservata come un cimelio. Perché fu la vittoria di tutti e tutti ancora ci sentiamo protagonisti di un’impresa collettiva. Un successo di gruppo, si è sempre detto. E giustamente. Ma c’erano anche i fuoriclasse. In campo e fuori. Se ne accorse qualcuno in casa Juve, provando – quando lo spumante ancora non finiva di scorrere – a portarsene via uno. Inutilmente. Perché una maglia può essere onorata e amata pure se non l’hai mai indossata. Capita se di mestiere non fai il calciatore ma il preparatore atletico. Come Armando Fucci. Che poi sì: con la Vecchia Signora si è incontrato, il calcio dei grandi lo ha conosciuto. Vincendo Scudetti e sfiorando la Champions. Un percorso da ‘top player’, cominciato negli anni Ottanta. “Finito il liceo avevo già le idee chiare: volevo lavorare nel mondo del calcio. A quei tempi non c’era l’Università, non c’era la facoltà di Scienze Motorie. C’era l’Isef. Mi iscrissi all’Isef, istituto superiore di educazione fisica. E conseguito il diploma cominciai subito: a 23 anni ero giocatore-preparatore della mia squadra. La mia trafila è iniziata così”.
Quanto è stata complicata?
“Tanto. In una piccola provincia come la nostra, con l’apice calcistico dato dal Benevento in serie C2, le occasioni per coltivare questa professione non erano tante. Ricordo gli altri ragazzi che si erano diplomati con me, provenienti da Brescia o Bergamo: dalla C2 alla serie A potevano contare su decine di squadre, e dunque di opportunità. Io ho dovuto iniziare dal basso, dalle formazioni delle prime categorie fino ad arrivare alla Serie D. E poi, finalmente, al Benevento. Nel 1998, con i Rillo in società e Pedicini presidente”.
Esordio migliore non poteva esserci
“Una stagione meravigliosa, coronata con il sogno promozione. Il Benevento di nuovo in serie C1, dopo dodici anni, sfatando la maledizione playoff”.
Già all’epoca in tanti riconobbero i suoi meriti: in quei playoff il Benevento volava
“La conseguenza di una scelta precisa. Assunta assieme a mister Dellisanti, grande appassionato della materia. A campionato ancora in corso, mancavano tre o quattro partite, decidemmo che per affrontare al meglio i playoff non era importante la posizione di partenza ma la condizione fisica. Iniziammo così un lavoro mirato agli spareggi, sacrificando gli ultimi match della stagione regolare. Poi furono la forza della squadra e le abilità del mister a fare la differenza. Conservo ancora nitido il ricordo di quei giorni: per il mio essere sannita, il mio essere un tifoso del Benevento, resta la mia vittoria più bella”.
Si sente ancora con i protagonisti di quella vittoria?
“Sono trascorsi 26 anni ma con Dellisanti mi sento almeno un paio di volte al mese, parlando sempre di calcio. Con tutti gli altri, poi, abbiamo un gruppo WhatsApp dove continuiamo a massaggiarci. Cose che succedono soltanto quando un gruppo è realmente forte: quello lo era. Pensi che ad Andreoli feci, all’epoca, una promessa. “Quando diventerai allenatore ti darò una mano”. Impegno rispettato nel 2019, anno in cui lo scelsero per allenare il Rende. Eppure ero già in Cina”.
Alla Cina ci arriviamo, prima c’è la Juventus
“Alla Juve potevo andarci subito, già dopo la promozione di Lecce. La mattina del 14 giugno, alle otto del mattino, sul numero di casa mi chiamò Ventrone. “Ti devo parlare ma non per telefono”. Mi diede appuntamento a Napoli per il giorno stesso. “Ho bisogno di un collaboratore, ho fatto diversi colloqui ma alla società ho comunicato di aver scelto te. Questa è la proposta, tre anni di contratto. Cominciamo tra poche settimane perché abbiamo l’Intertoto”. Era convinto firmassi subito. Invece mi gelai, gli feci capire che non ero convinto. Mi diede qualche giorno per rifletterci: decisi di restare a Benevento”.
Rifiutare la Juve per il Benevento… perché?
“Era troppo grande l’entusiasmo per la promozione in Serie C1. Sensazioni meravigliose e amplificate dall’essere un beneventano. Rimasi e conquistammo due salvezze che valevano quanto due vittorie di campionato”.
La sua collaborazione con Ventrone è storia nota, così come il vostro rapporto di amicizia: ma come è nato questo legame?
“Venti anni siamo stati insieme, fino alla tragedia della sua morte. Come è cominciata? Fu Paolo Anastasio a parlargli di me, incuriosendolo. Io ovviamente lo conoscevo di fama: Ventrone è stato un rivoluzionario, un innovatore. Ha cambiato il calcio, nella preparazione atletica rappresenta ciò che Sacchi è stato per la tattica. E comunque: mi chiamò per conoscermi e venne a Benevento. Lo ricordo ancora: era un mercoledì e facevamo doppia seduta. Trascorse l’intera giornata con noi, alla vigilia dei playoff. Qualche settimana dopo arrivò la chiamata e l’incontro a Napoli”.
Il gran rifiuto non rovinò il rapporto?
“In una prima fase sì, i rapporti si raffreddarono. Ma dopo due anni, al ritorno di Lippi alla Juventus, mi richiamò. Stavolta – ovviamente – accettai, vincendo due scudetti. Peccato ancora per la finale di Champions di Manchester, persa ai rigori contro il Milan”.
L’impatto con il mondo Juve?
“Ho lavorato in tanti club importanti ma posso dire che il mondo Juve è diverso da tutti gli altri. E’ tutto improntato a vincere e la cura dei dettagli è maniacale. Ricordo ancora che dopo il primo scudetto vinto, io ero ancora un ragazzo, al ritorno a lavoro pensavo di trovare lo stesso entusiasmo che provavo io. E invece no: “Prof, lei ha ragione – mi dissero i magazzinieri – . Ma qui è così: siamo abituati alla vittoria e una volta terminato il brindisi il pensiero è già alla prossima”.
La Juve una delle sue tante esperienze importanti, tra le altre ricordiamo l’avventura in Cina
“Sempre con Ventrone, prima come consulente con Capello e lo Jiangsu Suning e poi con Fabio Cannavaro. Con Cannavaro andai proprio in Cina, un’esperienza che mai avrei pensato di vivere: bellissima, sia sul piano professionale che umano. Vincemmo il campionato e poi entrai anche nello staff della nazionale con Fabio. Il Covid, di fatto, ha stoppato quell’avventura. Ma sono stati anni belli, in Cina era accaduto quello che ora sta avvenendo in Arabia. E infatti in squadra – tra i tre stranieri che era possibile tesserare – potevamo contare su campioni come Paulinho e Talisca, gente che ha giocato nella nazionale brasiliana”.
Per restare alle avventure: quella di Cannavaro a Benevento è finita male
“E mi è dispiaciuto tanto. Innanzitutto perché sono un tifoso del Benevento. Ma è capitato nel Sannio nella stagione sbagliata: anche gli altri allenatori hanno fatto male. Succedono campionati così, dove ti va tutto male. Peccato perché era arrivato a Benevento carico di entusiasmo e voglia di far bene. Resto convinto possa diventare un bravo allenatore, però. A Udine, infatti, l’obiettivo salvezza l’ha raggiunto. Pensavo venisse riconfermato”.
Il privilegio di lavorare con tanti grandi allenatori: quello che l’ha colpita di più?
“Da tutti ho appreso qualcosa. Ma ho avuto la fortuna di lavorare per tre anni con Lippi e posso dire di aver compreso perché è considerato uno dei migliori al mondo. A ciò che evidente a tutti, ovvero la sua enorme conoscenza del calcio, vanno infatti aggiunti carisma ed empatia. Quando parlava ai calciatori aveva una capacità di coinvolgimento senza pari. A livello affettivo, però, torno su Dellisanti, che avrebbe meritato palcoscenici più importanti per quanto era preparato. E voglio anche citare Simonelli, con cui ho vinto l’altro campionato a Benevento: anche lui un grande conoscitore di calcio e poi un livello culturale di assoluto spessore”.