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Calcio

De Rosa, una vita per il calcio e i giovani: dallo Sporting ai viaggi con Ciro Vigorito, storie di passione e talenti scoperti

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C’è stato un Benevento tra le grandi anche quando il Benevento grande non era. E forse neanche ambiva a  esserlo. Merito di un settore giovanile capace di farsi rispettare al Torneo di Viareggio o di sfidare la Juventus in una semifinale di Coppa Italia primavera. Fino al 2009, quando accade l’impensabile: la Strega è Campione d’Italia per la formazione Berretti. Successi che con il denaro c’entrano poco e niente. A pagare sono le competenze, la passione, il lavoro. Doti mai mancate a Guido De Rosa, per anni responsabile del settore giovanile giallorosso e protagonista assoluto della “Grippo”, associazione sportiva che rappresenta un unicum nel panorama calcistico giovanile del Sannio. E non soltanto del Sannio. “Dal 1990 a oggi penso di aver visto crescere più di 20mila ragazzi. Ci ragionavo proprio l’altro giorno: quando abbiamo iniziato avevamo giovani del 1976, oggi cinquantenni. Ma quando li incroci per strada ancora ti ricordano e salutano con affetto”. E per tanti la scuola De Rosa – oggi portata avanti dal figlio Luigi –  si è rivelata l’anticamera del professionismo. “Provo a citarli tutti per non dimenticare nessuno, anche se so che qualcuno mi sfuggirà. Partiamo con Melillo, portiere che diedi all’Empoli. Poi Ciotola al Napoli, ovviamente Alessandro Bruno e ancora Aniello Cutolo, Ugo Aquino, Carletto De Risio. E ovviamente i campioni d’Italia: Bonaiuto, Vacca, Zullo, Furno, Sodano”.

Raffaele Palladino?

Tutti lo volevano ma nessuno lo prendeva. Io ebbi il coraggio di farlo. Dopo un provino al Santa Colomba chiamai il presidente dello Sporting Benevento, Pedicini , e gli dissi che bisognava spendere qualcosa perché il ragazzo era bravo per davvero. Ma aggiunsi anche che quei soldi, comunque, li avrebbe recuperati presto. Mi rispose: “Non se ne parla”. Dopo cinque minuti mi richiamò: “Vabbè, di te mi fido: prendilo”.

E in effetti quei soldi li ha recuperati, anche se spesso si è detto che Palladino si poteva vendere meglio

“Non sono d’accordo: è stato venduto per quello che valeva. Poi è facile parlare ma vennero a vederlo due volte, una Castellini e l’altra Furino e non fece bene in nessuna delle due partite. A ‘salvarlo’ fu quel gol a Roma contro la Lodigiani. Nel calcio la fortuna conta, eccome: segnò al volo su assist di sinistro di Aruta, uno che il mancino non lo usava mai. E comunque lo vendemmo per 400 milioni di lire, altri 200 li incassò poi Spatola al suo debutto in Serie A. Non erano pochi soldi. Come non lo erano i 50 milioni di Melillo e gli 80 di Aquino. Posso dire una cosa, una volta e per sempre?”.

Certo…

“A quei tempi il settore giovanile lo facevo io, con i fondi della scuola calcio. Il Benevento, invece, non investiva nulla: i soldi li prendeva soltanto. Io mai presa una lira dai calciatori venduti. Pedicini l’unico a metterci qualcosa: collaborava per le spese delle trasferte”.

Oggi si parla di Palladino come di uno dei giovani allenatori italiani più promettenti: sorpreso?

“E’ bravo, non ci sono dubbi. D’altronde parliamo della Serie A. Ma è anche stato fortunato a trovare le condizioni ideali per esprimersi”.

Sbaglio se dico che uno dei “tuoi” calciatori a cui sei più legato è Schiattarella?

“Un ragazzo meraviglioso, dall’esterno magari ti trasmette un’immagine diversa ma vi assicuro che è una persona che vale. Che conosce il valore della riconoscenza. Lo facevo giocare contro ragazzi quattro anni più grandi di lui perché era troppo bravo. Quando è tornato a Benevento, la prima cosa che ha fatto è stata venirmi a salutare, portandomi la maglietta. Tanti altri non lo hanno fatto”.

Quanti ragazzi davvero bravi hai visto perdersi per strada?

“Nel calcio, lo dicevo prima, la fortuna conta. Per intenderci: Palladino ebbe l’opportunità di giocare subito in C – dove sei guardato con occhi diversi – per le disgrazie della società dell’epoca. Magari altri non hanno avuto la stessa fortuna. Ne ricordo uno, ad esempio, Gerardo Young, che oggi fa il procuratore, su cui non avrei fatto fatica a scommettere per una carriera importante. Un ragazzo di Salerno, arrivò con Palladino e con Cutolo. E comunque anche le occasioni si perdono, non solo i calciatori”.

Tipo?

“Felice Evacuo. L’avevo preso e anche iscritto a scuola, all’Industriale. Poi ci fu un malinteso col settore tecnico della società e il papà mi chiamò: “Mi dispiace ma il ragazzo lì non lo porto”. Un peccato, andò alla Turris”.

Ti faccio un altro nome: Nazzareno Tarantino

“Lo presi in prestito dal San Giorgio del Sannio del presidente Gatti per un torneo a Firenze, a Coverciano. Noi facemmo bene ma lui fece benissimo, un calciatore bravo bravo. Quel prestito segnò la svolta, fu visto e di fatto in Toscana ci restò. Poi ha fatto la carriera che ha fatto ma per la sua cifra tecnica poteva anche andare più su. Come Aquino, per tornare a giovani forti che poi si sono persi per strada. Ma lì è un discorso di procuratori, il loro peso nel calcio negli anni è cresciuto, decisamente troppo. Oggi nell’ascesa e nel successo di un giovane calciatore contano più dei tecnici. Non mi piace. Per me dovrebbero contare sempre le figure come Luciano D’Agostino, uno che con un ragazzino lo fa crescere davvero, lavorando sul campo, dalla mattina alla sera”.

De Rosa-D’Agostino il binomio vincente

”Io ho iniziato a fare la scuola calcio alla caserma dei Vigili del fuoco. Per passione, ovviamente. Da lì arrivai al campo Mellusi, che presi in gestione. Poi Rivellini, direttore sportivo con Cotroneo, mi chiamò per fare il settore giovanile del Benevento. Ma D’Agostino insistette per fare la Primavera, non la Berretti. “Ma come facciamo la Primavera” – gli dicevo. E invece arrivammo a fare cinque volte il Torneo di Viareggio e la semifinale di Coppa Italia, unica squadra di Serie C a riuscirci”.

Il “Miracolo” resta lo scudetto con la Berretti

“Con Vigorito partimmo da zero, non c’era nulla. La squadra che vinse il titolo la costruimmo gratis io e Ciro Vigorito. Neanche un euro pure per Antonio Vacca, che giocava in una squadra di Secondigliano sotto falso nome. Il provino ad Avellino, dove ero andato a vedere un altro Vacca che mi era stato segnalato, Emanuele. Quando arriviamo Antonio neanche c’è, arriva quando stiamo per andare via, accompagnato dal nonno: “Scusate per il ritardo”. Non ci vuole tanto a capire che è di un livello diverso. Lo facciamo firmare subito, una firma falsa perchè siamo a giugno e fino a luglio non è possibile fare tesseramenti. La testa era quella che era ma pure i piedi”.

Il ricordo di Ciro?

“Splendido. Una persona seria, garbata e competente. Da ammirare. E’ andato via proprio poco dopo lo Scudetto della Berretti, che tristezza. Col Benevento comunque, checché se ne dica, la Grippo continua a collaborare”

Abbiamo parlato tanto di passato, parliamo di futuro: un talento su cui scommettere?

“Lo scorso anno abbiamo dato alla Roma un 2009, Cristian Cioffi. Difensore centrale: se la sua crescita continua di questo passo, giocherà a livelli importanti. Non volevo darlo via, da tifoso del Benevento speravo nella Strega. Ma quando a volerti è Bruno Conti è difficile resistere”

E arriviamo alla Strega, al ritorno in Serie C: la società ha parlato di calcio sostenibile, della volontà di investire sul vivaio. E’ una strada percorribile qui a Benevento?

“Secondo me sì, fermo restando l’amarezza per aver perso “quelle” categorie. Ma l’idea di un nuovo inizio ci sta, soprattutto mi piacciono le due persone messe a capo del progetto tecnico: Carli e Innocenti. E lo dico con cognizione di causa, Innocenti tra l’altro era a Empoli quando diedi Melillo alla società toscana. Sono due persone di campo, preparate”.

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