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Calcio

Tiribocchi, lo spaghetto di Chiricallo, il rito di Simonelli: Antonio Martone e il suo romanzo giallorosso. ‘Schierato? Sì, dalla parte del Benevento’

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Non esiste un solo tifoso del Benevento che non abbia mai visto una trasmissione di Antonio Martone. Rigorosamente di lunedì. Come se la puntata fosse la prosecuzione in uno studio televisivo dei novanta minuti di gioco. Una sorta di terzo tempo riservato ai soli possessori di fede giallorossa. L’occasione per condividere la gioia di una vittoria o per sfogare la frustrazione per una sconfitta. Un rito che prosegue da oltre quarant’anni. Serie D, Serie C, Serie B, Serie A: Martone c’è sempre. Può cambiare il canale, il nome della trasmissione. Lui no. E pure il format – virgola più, virgola meno – è sempre lo stesso. Con quel telefono sempre aperto ad ascoltare la voce dei tifosi. “Perché il calcio è un fenomeno sociale, senza la gente non esiste”. Una convinzione che lo accompagna dal 1976, l’anno del suo debutto nel giornalismo. “A sedici anni, andavo ancora a scuola. Un articolo di calcio minore per ‘Il Mattino’. Una redazione composta da tutti professionisti provenienti da Napoli: Rocco Brancati, Arnaldo de Longis.  Poi la collaborazione con ‘Messaggio d’Oggi’ e quindi sempre ‘Il Mattino’ e Tuttosport. Ma per la carta stampata mi piace anche ricordare ‘Giallorossi Free Magazine’, settimanale che ho fondato e diretto”.

E la prima volta in tv?

“Sono in televisione, prevalentemente con trasmissioni sul calcio, dal lontano 1979. L’inizio con la prima tv di Benevento, si chiamava ‘Canale 55’. Ovviamente di lunedì, subito dopo la partita. E così è sempre stato per me, anche nelle esperienze successive. Con ‘Tv Sette’, dove ho creato il mito di ‘Breaksport’, con Telebenevento, Tele Luna, Video Benevento Mia – che era di Mario Peca, poi presidente della squadra -, Media Tv. E ancora Ottochannel – il mio OttoGol è stata la prima trasmissione ad andare in diretta – e oggi LabTv. Sempre in onda di lunedì, e sempre con un format aperto agli interventi dei tifosi. Perché nelle mie trasmissioni si affronta il lato tecnico del calcio, ma anche quello sociale. Il Benevento è patrimonio della Città. Appartiene a tutti, anche alle famiglie che non lo seguono. Così l’ho sempre pensata e così la penso. Un ‘mantra’ riconosciuto e apprezzato, considerato che da 44 anni sono sempre in televisione, nonostante siano tanti quelli che mi considerano un personaggio scomodo. A premiarmi, però, sono gli ascolti e gli sponsor”.

Ti ricordiamo anche a bordocampo con Stream

“E sì. Per fortuna o purtroppo sono stato l’unico giornalista sannita a lavorare con Stream. A bordocampo per il Napoli, il Bologna, l’Ancona. Direttore era Darwin Pastorin che è stato anche tra i miei maestri televisivi. Una bellissima esperienza, lavorando con gente come Pardo, Gentile, Compagnoni, Di Marzio. Per tornare alle mie creature, però, mi fa piacere ricordare BeneventoFree, sito che ebbe un grandissimo successo. Nella mia modesta carriera, poi, ci sono anche sette libri”.

Tutti sul Benevento?

“Cinque sul Benevento. Uno è sulla splendida favola di Fabio Pisacane, passato dal dramma della sedia a rotelle – perché nel 2000 gli fu diagnosticata la sindrome di Guillain-Barrè – all’esordio in Serie A nel 2016. L’altro è sulla storia di un commerciante locale”.

Per tornare alla Strega: il tuo primo articolo sul Benevento?

“Campionato 1976/77, sulla panchina c’era Carlo Orlandi. La mia prima partita commentata proprio un derby, con la Salernitana: vincemmo uno a zero con gol nel finale di Facchi, difensore di origini bresciane. Non è solo il mio primo articolo sul Benevento: è anche uno di quelli a cui sono maggiormente affezionato. Di solito per gli scontri tra campane ‘Il Mattino’ designava giornalisti neutrali. Quella volta scelsero me e fu una grande soddisfazione”.

Il Benevento a cui sei più legato?

“Potrei citarne diversi, ti rispondo con il primo che mi viene in mente: quello della promozione in C1 dopo la vittoria sul Messina. Anche perché nessuno credeva in quella squadra. E invece: che spirito di gruppo, che grandi valori. Della finale di Lecce ricordo ancora tutto, ogni singolo momento. Ero con i tifosi in curva, non in tribuna stampa. Ma è stato quasi sempre così per me. Dopo il fischio finale scendemmo al primo anello, per festeggiare con la squadra. Si accorsero della mia presenza sia Dellisanti che Mariani. Mi raggiunsero e mi baciarono la mano. Un gesto di riconoscenza. Come a dire “c’è anche il tuo contributo in questa impresa”. Perché io ero stato tra i pochi a crederci sin dall’inizio in quel Benevento. E questo nonostante la depressione generale, dettata da tre sconfitte consecutive nei playoff: Savoia, Turris e Crotone. Impossibile da dimenticare quel 13 giugno del 1999: mai festeggiato un onomastico più bello”.

E poi?

“E poi voglio ricordare il Benevento di un’altra promozione, quella in Serie B. Una squadra abbandonata a se stessa, senza un presidente se non simbolico: parlo di Pallotta, scelto dalla persona a cui Vigorito aveva ceduto la società e penso di non dire niente di nuovo con questo. Al di là dei valori tecnici, a quel Benevento mancava tutto tranne una cosa: l’attaccamento al territorio. I calciatori erano sempre in Città, si fermavano a chiacchierare con i tifosi. Auteri chiedeva aiuto e sostegno a tutti. Era la squadra della gente. Cosa che in seguito non è accaduto più, inutile girarci intorno. Nonostante i campionati di vertice e la Serie A”.

E un calciatore, invece, a cui sei rimasto particolarmente legato?

“Devo raccontarti la storia di Simone Tiribocchi. Arriva dal Torino come giovane promessa ma il suo contributo nel girone di andata è inesistente. Dai tifosi piovono fischi che col tempo diventano insulti. Ricordo gente che andava in trasferta solo per contestarlo. Gliene dicevano di ogni. E lui voleva andare via, si vergognava di uscire per strada. E così gli dico “passa a salutarmi in redazione”. Inizia a venire ogni sera. Ricordo le sue telefonate alla fidanzatina, al padre. Piano piano si riprende e inizia a segnare. La sua carriera poi la conosciamo: è arrivato alle soglie della Nazionale. Ancora oggi conserviamo un rapporto fortissimo, ci sentiamo sempre. “Pensavo di smettere, mi hai aiutato a continuare” – mi ha confessato una volta. Un altro legame forte è con Antonio Di Nardo: nei momenti bui si rivolgeva sempre a me, quasi fossi il suo psicologo”.

Passiamo allora ai calciatori con cui hai litigato

“Lasciami pensare”.

Qualcuno deve esserci di sicuro

“Beh, con Cipriani. Si sentiva attaccato da me. Ma era lo stesso Simonelli a dire che trascorreva più tempo sul lettino del massaggiatore che in campo ad allenarsi. E poi Fimiani. In occasione di una trasferta iniziò a farmi dei gesti, a minacciarmi. “Impara prima a parare e poi passi alle minacce” – gli dissi, avvicinandomi. E poi c’è stato un allenatore…”.

Racconta

“Gesualdo Albanese, inizio anni Novanta. Una cosa assurda. Calabrese ma trasferitosi poi a Padova, si lasciava spesso andare a commenti che non ho timore di definire razzisti nei confronti della Città. La stessa Città che gli dava da lavorare e guadagnare. Diciamo che non ci lasciammo bene…”.

Restiamo sugli allenatori: qualcosa da raccontare?

Andiamo alla stagione 77/78, quello di Maria Rosaria Cammarota presidentessa: la prima donna in assoluto a guidare in Italia una società calcistica, anche se per scelta forzata perché eredita la proprietà dal compianto Italo Antonio Bocchino, suo marito, gestendo anche le quote delle due figlie Sabrina e Stefania. L’allenatore è Nicola Chiricallo, tecnico espertissimo di Serie C, purtroppo ci ha lasciato alcuni anni fa. Chiricallo mi prende in simpatia – io ero un ragazzo, frequentavo l’ultimo anno di Ragioneria – e ogni martedì sono suo ospite a pranzo al ristorante ‘La Rosetta’, che oggi non è più a Benevento. Sempre lo stesso piatto: spaghetti con limone spremuto sopra e un po’ di olio, un piatto particolare. Mangiamo e mi ragguaglia sulle vicende tattiche e le dinamiche dello spogliatoio. Un altro aneddoto riguarda il grandissimo Gianni Simonelli. Dominiamo il campionato di Serie C2, a febbraio il discorso promozione già è chiuso. Eppure tutti i lunedì mattina mi chiama e fa: “Uagliò, stamm ‘nguaiati”. Una scaramanzia fissa per il nostro allenatore filosofo”.

Prima parlavamo dei tifosi, del tuo rapporto con il popolo giallorosso: qualcuno te lo ha mai fatto ‘pesare’?

“Assolutamente.  Qualche presidente mi ha definito un giornalista-ultras, pensando così di disprezzarmi e deprezzarmi. Ma per me è stato motivo d’orgoglio, la prova di aver centrato l’obiettivo. Sono sempre stato un giornalista schierato: dalla parte del Benevento e della Città”.

Arriviamo a oggi. Stasera c’è il derby con l’Avellino: esagero se dico che è la partita più sentita dalla tifoseria giallorossa?

“E’ il derby più sentito. Senza giri di parole: la classica partita che vale una stagione. E chi dice che non è vero mente sapendo di mentire. Ma per quanto ne vogliano dire non vale solo per noi… Penso a un Avellino-Benevento di dieci anni fa. Stagione 2011-12, allenatore Imbriani. Gara importante per noi – dovevamo vincerla per acciuffare un posto nei playoff – ma non per gli irpini che erano già salvi. Eppure quando pareggiarono, al 92’ con Zigoni, fu festa grande: spararono addirittura i fuochi di artificio. Ricordo ancora l’esultanza di Millesi, il suo giro di campo fino al settore ospiti. Io ovviamente ero lì”.

Un derby con l’Avellino indimenticabile?

“Due, uno in casa e uno in trasferta. Il primo è quello del 1999, l’anno del ritorno in C1. Si gioca alla seconda giornata, all’esordio avevamo pareggiato a Palermo con una grande prestazione. Santa Colomba gremito d’entusiasmo, una sfida esaltante. La decide il nostro Maradona, Totò Bertuccelli, con un gran destro sotto la Curva Sud: un boato incredibile. Grande giocatore, Bertuccelli e grandissimo uomo. Il derby del Partenio, invece, è ovviamente quello dei due gol gioiello di Imbriani e Colletto, poi accorciò Evacuo. Altre emozioni incancellabili”.  

E quello che invece sarebbe meglio cancellare dalla memoria?

“Anno 2003, un derby mai giocato. Ci presentammo senza portieri, con Lotti che diede misteriosamente forfait per una gastroenterite improvvisa. Straperdemmo già nel primo tempo tanto che si parlò di partita addomesticata. Era l’Avellino di Casillo”.

Chiudiamo con un auspicio per il futuro della Strega

“Guarda, non ti rispondo tornare in Serie B o in Serie A. Il mio auspicio è un altro: che la piazza torni a essere unita. Oggi non lo è, le spaccature sono evidenti e lo noto anche con la mia trasmissione. E allora mettiamo da parte le nostre simpatie e le nostre antipatie. Basta con chi è pro o chi è contro la gestione Vigorito. Stop ai pettegolezzi, alle recriminazioni. Davanti a tutto deve esserci la maglia giallorossa. Mi piacerebbe ritrovare quella magia che faceva della squadra e della Città una cosa sola. Così era in passato, quando pure disputavamo campionati non esaltanti ma trasmettevamo a tutti – calciatori e avversari – emozioni meravigliose. L’unità era il nostro vanto:  eravamo orgogliosi del nostro essere tifosi del Benevento a prescindere da risultati e categoria. Tornare a essere quelli sarebbe la vittoria più importante”.

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